Questa è Feticci, la newsletter che ha scelto il claim “Non esistono scarti” non per poesia, ma per dare un senso alle vite di chi la scrive (Federico Corona e Tommaso Naccari). Questo che segue è un esperimento - per noi non per il giornalismo in generale - di un reportage a quattro mani, alcuni paragrafi sono di uno, altri dell’altro. A voi capire chi ha scritto cosa (o anche no, valutate). Buona lettura.
L'utopia dell'FC Clivense
Sergio Pellissier arriva presto al centro sportivo Avanzi. Indossa una polo blu, jeans stretti che risaltano le sue gambe ancora toniche e scarpe da ginnastica bianche, ben allacciate. I suoi abiti da presidente. Oggi pomeriggio l’FC Clivense, la sua nuova creatura, gioca contro il VR Verona nella prima giornata del girone B della Terza Categoria veneta. Più avanti affronterà squadre come il Borgo San Pancrazio, lo Zai Golosine, e il Crazy Football Club. Dopo che il Chievo è finito gambe all’aria, fagocitato dai debiti ed escluso da tutti i campionati professionistici, Pellissier ha sentito il dovere di rianimare quella passione genuina che ha caratterizzato la storia recente del club di cui è stato simbolo, bandiera, primatista di presenze complessive e miglior marcatore all time con 139 gol, di cui 112 in serie A.
L'FC Clivense nasce dall'utopia dei valori. Umiltà, onestà, amicizia: tutto ciò che nella narrazione di un altro ambiente passerebbe come melassa retorica, qui trova un respiro di verità. E in questa dimensione aliena, gli ideali non sono in contrasto con l’ambizione. Pellissier vuole scrivere una nuova storia con la stessa sceneggiatura della vecchia. Oltre agli ideali, quindi, anche l’ambizione di risalire presto le categorie e compiere un nuovo Miracolo, sulla scia del mito fondante del Chievo degli anni Duemila. Dopo ostinati tentativi di iscrivere la Clivense in serie D, Pellissier ha accettato di ripartire dal gradino più basso della scala del calcio, ma ci tiene così tanto a farsi prendere sul serio, che nella serata di presentazione della squadra ha ripetuto per 14 volte la parola progetto.
Con la birra in mano, passeggia placido nei pressi del bar del campo e sotto la tribuna scalcagnata dove sono già arrivati i primi tifosi. Tutti lo fermano, gli chiedono foto, manifestano il loro affetto a parole e non solo. Qualcuno videochiama al telefono amici comuni e gli fa scambiare saluti virtuali. Ma non c’è riverenza e nemmeno distanza. Più che un totem, Pellissier è un amico a cui si deve molto. Approfittiamo di un attimo di sosta dalle carezze e con la stessa informalità dei suoi fratelli clivensi gli chiediamo se ha dieci minuti nelle gambe. “No”. Però ci sembra in gran forma. “Insomma, ho messo su un po’ di ciccia”, dice mentre con pollice e indice misura la presunta carne in abbondanza. “Però uno spezzone di partita, più avanti, lo farò. Giusto per avere una presenza in questo progetto”.
Lui e Marina
Se un domani il Milan dovesse finire in Terza Categoria, non so come reagirei. Ricordo ancora le battute dei miei compagni del liceo sampdoriani quando il Genoa finì in C, in seguito alla celeberrima storia della valigetta di Preziosi. Quella che andava più di moda era pinzare le braccia dell’amico rossoblu con due dita e urlare: “Pizzighettone”, una delle trasferte che i grifoni avrebbero dovuto affrontare in quella stagione. C’era però, in tutto quello sfottò, un sottotesto di dolore: cosa farò senza il mio “nemico” in A?
La cosa a cui effettivamente non avevo mai pensato era in realtà molto più immediata e banale: ok i “cugini”, ma come si sentono le squadre di Terza Categoria ad affrontare un’ex Serie A?
D'accordo, la Clivense non è proprio il Chievo – che esiste ancora, e ha solo il settore giovanile -, ma è la società che nasce dalle sue ceneri e che si è portata dietro i suoi vecchi tifosi.
Le risposte a queste domande arrivano letteralmente dalle prime due persone che incrociamo, che per semplicità definiremo “i bigliettai” - anche se l’uomo della coppia si rivelerà essere anche un dirigente, ergo uno dei due guardalinee con i compiti limitati alla orizzontalità.
La signora è seduta su una sedia di plastica da giardino. Porta una t-shirt bianca che tradisce in trasparenza un’altra maglia, non proprio adatta al contesto: “Ah, l’hai notata?”. Esaltata si alza in piedi, svelando così il logo dell’Hellas Verona anche sulla mascherina: “Tra tutte le squadre nel mondo che potevano finire nel nostro girone, proprio loro?”, confessa tradendo risentimento.
La signora Marina è l’unica della coppia di cui conosceremo il nome, ma chi in realtà ci darà una mano a capire meglio la situazione è l'uomo che definiremo “lui” fino alla fine del paragrafo: “Queste squadre ammazzano il campionato, si fanno un anno qui e poi vanno in Serie D: ma non potevano andare là direttamente?”. Il fastidio non è solo per la Clivense, ma in parte anche per noi. Anche se in realtà, il sentimento verso il tizio col taccuino e quello con la macchina fotografica al collo è quello della diffidenza: “E voi fino da Milano cosa siete venuti a fare qui?”. Le nostre spiegazioni non sembrano convincerlo, tanto che il primo sorriso lo riceviamo a partita finita, mentre ci dirigiamo verso l'auto. Sentiamo un suono di clacson smorzato, uno di quelli che si fa quando non si è troppo convinti, si è molto arrabbiati nel traffico o, come in questo caso, quando si vuole malcelare entusiasmo: “Oh, come l’avete visto questo nuovo Chievo?”. Ed è qui che si apre il primo sorriso: “Non benissimo eh, un po’ confuso”. Questa apertura ci sembra il momento giusto per chiedere in cambio un’informazione e fingere ancora i panni dei giornalisti tradizionali: “Quanti biglietti avete staccato?”. “Non lo so, troppi”. Il sorriso si spegne subito, il pensiero dei giornalisti ottenebra quello che ha fatto realizzare al nostro lui che forse la Clivense non è così ammazza-campionato come sembra. Il motore si accende, il finestrino si alza e l’auto si allontana. Chissà che pensieri ha fatto su di noi guardandoci dallo specchietto retrovisore.
Un gol storico
Nei primi cinque minuti di partita si gioca pochissimo. La palla finisce spesso oltre la recinzione che delimita il campo. Sembra un oggetto incontrollabile e ostile, una sfera infuocata che passa da un piede all'altro e poi fuori. Al centro sportivo Avanzi di via Flavio Gioia, a Borgo Romano, la partita è intermittente, sporca e nervosa come una finale di Champions League. In questo caos tecnico ed emotivo, la Clivense prova a mettere un po’ di ordine, ma le buone idee che si intravedono finiscono spesso per scontrarsi contro l’anarchia e il sovreccitamento di alcuni giocatori, a cui mister Allegretti indica con un misto di animo e disperazione i movimenti corretti da eseguire. Così, il più delle volte, la risalita del campo parte da una buona prima costruzione e si consuma in un pallone lungo e sporco verso gli attaccanti, costretti a duelli medievali con i difensori avversari.
Uno di questi lanci, al minuto 26', pesca Kevin Inzerauto sul filo del fuorigioco. Il guardalinee è lo stesso signore che staccava i biglietti con Marina, ed è lì solo per segnalare le rimesse laterali alzando pigramente la bandierina. Bisogna fidarsi dell'arbitro, che però era voltato di spalle. Si gioca. Il giovane attaccante clivense (2001), leggermente defilato sulla sinistra, punta la porta con decisione e lascia partire un sinistro dalle intenzioni ambigue. Non è chiaro se fosse un tiro o un cross, ma non è importante. Ciò che conta è che il pallone si sia infilato secco e pulito sul secondo palo. Kevin non ha idea di come esultare, di come rispondere a tutto quel rumore a cui non è abituato. Ha appena segnato un gol storico, ma forse non lo sa. È così trafelato che non fa l’unica cosa che un qualunque 20enne amatore avrebbe fatto se avesse segnato un gol davanti a mille persone: correre a festeggiare sotto la curva. La reazione di quasi tutti i suoi compagni, che terminano la loro corsa aggrappati alla recinzione, scuotendola in maniera convulsa e primitiva insieme con i ragazzi della North Side, appesi dall’altra parte. Il vantaggio toglie un po' di tensione dalle gambe dei giocatori, ma la partita continua a essere frenetica e confusa, con la Clivense che prova a gestire il pallone senza davvero avere i requisiti per farlo. Verso la fine, Tommaso Dav'ì segna il secondo gol superando il portiere in uscita con un controllo di petto e depositando la palla in porta. A differenza di Kevin non perderà l'occasione di farsi osannare da quei tifosi che festeggiano il suo gol con lo stesso trasporto con cui celebravano quelli di Sergio Pellissier dalle tribune del Bentegodi.
Amore sulla pelle
La fortuna di assistere a una partita di Terza Categoria in uno di quei campi con una sola lunga tribuna in cemento è la possibilità di scegliere liberamente dove sedersi, con nessuno che ti sventola un biglietto sotto il naso come se si fosse su un’alta velocità pretendendo il sedile sul quale ti eri appena ambientato.
La sfortuna di assistere a questa partita di Terza Categoria è la quantità infinita di input che ogni centimetro di quella tribuna può darti. Sedersi vicino ai North Side e sentire come la curva affronta questa discesa agli inferi? Sedersi tra i “tifosi ospiti” nella speranza di capire come si vive la caduta dei giganti? Intercettare amici o ex compagni di alcuni dei 18 in distinta sotto lo stemma Clivense per iniziare a cogliere i primi aspetti della personalità di chi scenderà in campo? O ancora: seguire Pellissier e la dirigenza come fosse la Del Piero cam nell’ultima partita di Pinturicchio con la Juve?
Ciò che ci hanno insegnato le radio di Spotify e, ancora prima, l’opzione shuffle dell’iPod è che non scegliere è la miglior scelta. Così, figli della Democrazia Cristiana, ci sediamo a metà da tutto ciò che ci sembra interessante. Per restare in tema infernale, tra gli ignavi. Solo che, in culo a Dante, qui il destino decide di premiarci.
Non passano neanche 20’ dal fischio d’inizio che a un posto di distanza da noi si palesa un personaggio dall'aura mitologica. Un uomo imponente o che se non altro mantiene nel suo corpo i ricordi di un’imponenza, con una canottiera di quelle a coste, rigorosamente infilata nei pantaloni e un ciondolo, che non ha bisogno di essere d’oro per dimostrare il suo valore, tendenzialmente religioso e/o affettivo.
La canottiera mette in mostra le due braccia tornite su cui campeggiano altrettanti tatuaggi. Il primo, nonché l’unico che vediamo dalla nostra prospettiva, è uno stemma del Chievo, circondato da una trama che lo rende intarsiato su pelle. A incorniciarlo una scritta, tra il gotico e il corsivo, che recita “Chievo Verona”.
“Possiamo fotografarla?”. La risposta è entusiasta, ed è la porta d'accesso per un turbine di racconti confusi, nostalgici ma pieni di “passione”: quello che abbiamo accanto è uno dei fondatori dei North Side, Alfredo Mazzetto, anni 74. Per intenderci, quando Alfredo nasceva, il Chievo era appena maggiorenne. Per l’epoca potrebbero essere praticamente padre e figlio.
“Non ricordo quando li ho fatti, ma penso che il fatto che siano così sbiaditi ti dia un bell’indizio” è il suo commento mentre favorisce l’altra spalla, che vede ancora più grande il logo dei North Side e il tempo trascorso dall’iniezione d’inchiostro. “Pensate che io sono stato a Massa, il giorno della promozione. Eravamo in diecimila, l’abbiamo invasa. Sono tornato in treno, con uno di quelli che fanno passare tutti gli altri. Alle 9 di mattina ero a casa, dopo un lungo viaggio con mia moglie”. Nel citarla le mette un braccio intorno alle spalle e la mostra fiero, come uno dei due tatuaggi. Un’altra testimonianza dell’amore per il Chievo. “Ho anche sofferto, come quel giorno a Bologna, quando siamo retrocessi, ricordi?”, risponde glissando su ogni domanda inerente al preliminare di Champions. Mentre parliamo passano Pellissier ed Enzo Zanin, parte della dirigenza della Clivense: “Sergio rimane nel cuore, sempre. Zanin l’ho amato come uomo, anche se non prendeva un accidente…”. La cosa che colpisce di più, però, è la preoccupazione per il futuro, abbastanza emblematica vista la situazione che ha appena scottato lui e i suoi compagni di tifo: “Ma cosa pagano a questi? Vitto e alloggio? E gli stipendi? Speriamo trovino presto degli sponsor…”.
E mentre sognante Alfredo ci racconta delle sue prime impressioni sulla rosa (“c’è il figlio di Squizzi e uno ex Atalanta e Vicenza, son buoni”), una ragazza si dirige verso la curva dei North Side, dicendo in un sussurro da cosa scomoda, che come sempre esce a voce più alta di quanto speriamo: “C’è più gente di quando eravamo in un vero stadio…”
Mondi distanti, mondi vicini
Chi gioca in Terza Categoria lo fa solo perché non può fare a meno del calcio. La necessità è l'unico stimolo che può portarti a sacrificare due sere a settimana e ogni domenica dell'anno per fare qualcosa in cui sai di non essere bravo. Non esistono altri motivi oltre la passione. Qui non ci sono prospettive né soldi né sogni. Si tratta solo di giocare e poi tornare a casa. I giocatori del VR Verona sono arrivati al campo con le loro posture sghembe, i fisici inadatti, le polo sdrucite. Un'ora e mezza dopo si sono trovati catapultati in un'atmosfera ignota e palpitante. Hanno fatto le stesse cose di sempre, solo circondati da fotografi e dal frastuono di cori e tamburi, avvolti nel fumo dei fumogeni che tingevano di blu una porzione di tribuna in cui campeggiava uno striscione con scritto sopra Chievo Verona. Pianeti distanti che si incontrano ma non collidono. Nulla di questo contrasto strideva, niente era così assurdo o grottesco. Ogni tassello era insospettabilmente al suo posto, come se davvero questo gioco avesse la forza biblica di unire primi e ultimi.
Pochi istanti prima della partita, Zanin e Pellissier ci dicono di essere un po' tesi. Si sono mossi per più di vent'anni nell'ecosistema del calcio professionistico, hanno giocato in stadi con 80 mila persone e assaggiato palcoscenici come la Champions League. Ora se ne stanno qui, nei bassifondi del calcio, e hanno volti incerti ed emozionati. Così come i tifosi, da cui ci si aspetterebbe almeno un pizzico di rabbia per essere finiti su questi gradoni di provincia, o note di scherno verso questi ragazzi che si ritrovano a sostenere, che non portano nomi sulle maglie, e che non si chiamano Pellissier o Vignato ma Facciolo e Gasparato. Al contrario verso di loro l'incitamento è virtuoso e già intinto negli stilemi del dilettantismo: “vai 2!”, “Bravo 10!” sono le voci che si alzano di continuo. La distinta che abbiamo conquistato faticosamente è il centro attrattivo di tutta la nostra fetta di gradinata, che si avvicina per chiedere nomi e date di nascita dei giocatori. Tranne i ragazzi della North Side, che sulle magliette realizzate per l'occasione portano già inciso il senso di tutto: “Custodi di ciò che è stato e di ciò che sarà”.
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