Giochi Allegri
Porticine, basket, shot challenge: cosa dicono di Allegri, e del suo rapporto con la Juventus, le sfide ludiche con i suoi giocatori
Bentornati su Feticci. Forse qualcuno di voi avrà notato che settimana scorsa non siamo usciti. Questioni personali ce lo hanno impedito, ma oggi torniamo con un pezzo sul Massimiliano Allegri guitto, malizioso e ultra-competitivo. Quello dei video in cui mette su il volto del joker e sfida i suoi giocatori in challenge improvvisate. A voi stabilire se sia più divertente o più inquietante. Buona lettura.
Il gioco è semplice, come direbbe Allegri. Da una distanza di più o meno 15 metri, bisogna segnare in una porticina senza che il pallone tocchi per terra prima di entrare. Una sola regola dunque, ma basilare, che lo stesso Massimiliano Allegri si premura di ricordare a Paul Pogba, il suo sfidante, quando uno dei colpi del francese si infila nella piccola rete dopo un rimbalzo: «Non è buono!» Il calcio di Allegri è quello fluido di chi non ha dimenticato come si tratta il pallone. Le scarpe da ginnastica con cui conduce la sfida sono un limite che non sembra considerare, sicuro della sua tecnica e del dominio mentale che impone sul suo avversario con ripetute provocazioni.
Ai primi tiri, Pogba ha la postura convinta di chi sa di non poter perdere la sfida. Giunto al terzo anno di Juve, è nel pieno della sua esplosione: un talento brillante e variegato che nella mediocrità del campionato italiano fa più o meno quello che gli pare. Un lontano parente del giocatore triste e svuotato che sta marcendo ai margini dello United. Ha qualità, personalità, e grande sicurezza nei suoi mezzi. Non potrà mica farsi battere in un giochetto di fine allenamento da un uomo di 50 anni con le sneakers ai piedi. Ma quello non è un ex calciatore qualunque. È un diabolico istrione con aculei affilati, pronto a pungere con il sarcasmo e l'istigazione. Tradito da un eccesso di confidenza, Pogba finisce lentamente nella gabbia mentale di Allegri, quel tipo di avversario che nessuno vorrebbe incontrare in queste challenge improvvisate che nascono come divertissement e finiscono come questioni di vita o di morte per chiunque sia animato da uno spirito competitivo.
«Com'è Paul? Ti demoralizzo eh: tu ne fai uno e io immediatamente l'altro. Ti distruggo». Una manipolazione tipica di chi ha passato la vita a sfidare persone a giochi che in realtà erano molto di più. E che per uscire vincitore da queste sfide è disposto a tutto. Pogba, che ormai ha chiaro chi si trova di fronte, si gira verso uno spettatore e riduce la sconfitta imminente a una questione di ruoli: «Non posso vincere, è il mister». È l'ultima giustificazione prima che Allegri chiuda la partita con un colpo perfetto, accompagnato dallo sbeffeggio finale per un Pogba visibilmente amareggiato.
Era il 2015. La sfida, diffusa sui canali social della Juventus, ha avuto dal primo momento qualcosa di ipnotico. Lo sguardo pruriginoso di quello che accade nel dietro le quinte delle squadre non si era ancora posato in maniera ossessiva sul mondo del calcio; i club non si erano ancora trasformati in content creator, e All Or Nothing era ancora in fase di gestazione. L'intima quotidianità del gruppo era ancora coperta dal velo di Maya di slogan isolazionisti e vagamente cameratisti come “tutto quello che accade dietro le mura del nostro centro sportivo, resta qui dentro”. Ma se quel video era stato magnetico, non è solo perché era stato prodromo di una narrazione che da lì a qualche tempo avrebbe preso piede. È anche grazie alla teatralità di Allegri, al fare da guitto con cui ha affrontato e battuto uno dei migliori giocatori del campionato – e forse, in quel momento, d'Europa – a un gioco improvvisato nelle pieghe del lavoro sul campo.
Che Allegri amasse lo scherzo e la cagnara non era un mistero. Una volta, da ragazzo, ha messo delle pietre sotto l'asse dell'auto di un suo amico, costringendolo a tornare a casa a piedi. A un altro, che faceva il pasticcere, rendeva la vita impossibile ordinando di tutto alle 3 di notte. La prontezza della battuta, tipicamente labronica, si era già manifestata in diverse occasioni, così come la sua confidenza col caos, emersa in molti degli aneddoti condivisi da allenatori che lo avevano avuto come giocatore. Tra cui Giovanni Meregalli, che ai tempi del Pavia lo mandò a piedi a La Spezia perché sul pullman avrebbe fatto troppo casino. Ritrovare quello spirito nell'Allegri allenatore, però, svelò un lato che fino a quel momento, da quando aveva cominciato la sua carriera in panchina, era rimasto parzialmente nascosto. E ne rivelò un tratto utile a capire meglio l'uomo diventato nel tempo un simbolo della Juventus dominante della seconda metà degli anni Dieci.
Visto il successo di quel video, mesi più tardi l’astuto social media manager della Juventus ne confeziona un altro, se possibile ancora migliore del primo. I protagonisti sono sempre gli stessi, ma questa volta la sfida si sposta sul basket. Chi arriva prima a 15 canestri, vince. Il canovaccio è simile a quello della sfida a porticine. Pogba sembra convinto che almeno su questo terreno parta favorito, e percula Allegri per la sua discutibile tecnica di tiro. Ma la partita pende dalla parte dell'allenatore, che sembra posseduto dal demone della competitività, e reagisce con risposte nervose e sorrisi maligni ai tentativi del suo avversario di rubacchiare punti. Quando un Dybala che sembra essersi appena svegliato, sbuca da una porta per assistere alla sfida e giochicchia con il pallone dopo il rimbalzo, Allegri lo tratta come un bambino a cui va insegnato di non mettersi nelle questioni tra adulti: «Via, non perdere tempo, dopo giochi».
Il coinvolgimento di Allegri nella sfida restituisce allo stesso tempo un senso di divertimento e inquietudine. Allegri ride e scherza, ma ha tutta l'aria di chi, in quella sfida, si sta giocando la vita; l'aria di un padre che non farebbe vincere nemmeno suo figlio. Sin dai tempi delle partite al Gabbione, nelle sue estati livornesi, Allegri non tollera la sconfitta. Un rifiuto che affila gli spigoli del suo carattere, che si mescolano di continuo ai sorrisi da Joker di chi, anche nello spasso, conserva qualcosa di perturbante. In alcuni momenti il volto di Allegri è una maschera allegorica che si porta dietro un carro di sfumature che contengono sempre qualcosa di furbo e malizioso. «Se ci prendiamo troppo sul serio non va bene», ripete spesso.
Pogba, finito ancora una volta sotto il giogo del suo sfidante, cerca debolmente di convincerlo che la partita fosse ai 20, poi sorride impacciato e va incontro a un'altra sconfitta. Allegri esulta, urla e si congeda con l'ultima provocazione: «Grazie Paul, anche per quest'anno hai dato. Non mi batti con i piedi e non mi batti con le mani».
In quel momento Allegri è l'epitome ideale di un club per cui “vincere è l'unica cosa che conta”, un concetto difficile da veicolare in maniera più attraente di una simpatica sfida tra allenatore e giocatore nel giardino privato del proprio centro d'allenamento. Il modo migliore per applicare una patina di leggerezza a un claim identitario così discusso. Nonostante il suo spirito irregolare, Allegri è il perfetto rappresentante del dna bianconero, soprattutto in un momento storico in cui la Juve brutalizzava la serie A. Ne incarna i valori e una certa, sottile diavoleria, che però trasmette con una vitalità che spolvera la tipica austerità juventina. Vuole sempre scherzare con la vita, a patto che questo gioco si concluda con una vittoria. Anche nella retorica con cui da tempo osteggia una proposta calcistica più aderente alla modernità, e che ha contribuito, almeno dalle nostre parti, a polarizzare il dibattito coniando stupide etichette (“giochisti” e “risultatisti”) si intuisce l'esigenza di prendersi gioco degli altri, di ricorrere allo sberleffo. Senza che questo debba riflettere a pieno la sua visione.
Le sfide in cui ha umiliato uno dei suoi migliori giocatori rientrano in quella che nel suo libro È molto semplice è indicata come regola numero 11: «Se vuoi innalzare i picchi di prestazione, usa il cazzeggio creativo». Un modo per distrarsi ma al contempo alimentare l'attitudine alla competizione. «Mi piace il cazzeggio. Mi dà grande gioia. Rasserena, rimette in pace con il mondo. Lo consiglio ai miei giocatori». Una necessità ma anche una strategia, dunque. Non può essere un caso che nel terzo capitolo dei video delle sue sfide, uscito qualche giorno fa, il suo sfidante fosse Dusan Vlahovic. Come Pogba nel 2015, il serbo ha 22 anni e una carriera in pieno slancio. È come se Allegri scegliesse premeditatamente l'avversario più sicuro di sé, per testare sé stesso e al contempo indurire la scorza dell'altro.
Il video della sfida contiene tutti gli stilemi che ormai conosciamo: duello psicologico, provocazione, malizia. Questa volta il gioco prevede di segnare da fuori area dopo aver controllato il pallone con un solo tocco. Nonostante l’intramontabile sensibilità tecnica e le sue doti manipolatorie, la sfida per Allegri sembra proibitiva. Il tiro è forse la migliore qualità di Vlahovic, soprattutto se ha tempo per prendere la mira. Infatti la prima sfida si consuma velocemente, e Allegri ne imposta subito un'altra con il piglio amaro e orgoglioso di chi, senza motivo, non considera valida quella precedente. In difficoltà anche nella seconda, Allegri imbastisce uno show fatto di imitazioni, furberie e imbrogli. Ma Vlahovic, decisamente più solido del suo predecessore Pogba, non si lascia intimidire e porta a casa anche la seconda sfida. «Ha detto pareggio ma ho vinto io. Non ce la fa più», si lamenta.
Una sconfitta che Allegri vuole occultare, un po' come la riproposizione di questo fortunato format aiuta e tenere nell'ombra una stagione che oltre ogni evidenza è stata negativa, e che stasera, nella finale di Coppa Italia contro l’Inter, può trovare consolazione con la conquista di un trofeo. Se prima il protagonismo di Allegri in queste sfide virali alimentava l'immagine di una Juve vincente, oggi ne evidenzia le crepe. E non solo perché questa volta Allegri ha perso. L’uomo che l’ha battuto, arrivato a gennaio con un carico di 17 gol segnati nel girone d’andata, ha già messo su il muso. Dopo un ottimo impatto, si è impantanato in un sistema di gioco che non lo aiuta a essere produttivo, e ha collezionato la miseria di 6 gol.
In questi anni l'allenatore toscano non è cambiato, non sono cambiate le sue idee e la sua visione del gioco, ma la Juventus sì. Così come il calcio, che ha continuato la sua frenetica evoluzione. Contrasti che accendono tutte le contraddizioni che si annidano dietro la complessità di Allegri. Che pongono interrogativi su quanto la sua tendenza ad andare in direzione contraria e ostinata rispetto alla modernità possa ancora risultare efficace. Che sollevano dubbi sul fatto che possa essere ancora lui a prendersi gioco del mondo, o se sia il mondo – del calcio – che oggi si prenda gioco di lui.
Scenari di cui lo stesso Allegri, risoluto come sempre, non sembra preoccuparsi troppo. Qualche settimana fa, nella trasferta di Napoli, il giovane Fabio Miretti è rientrato in camera e l’ha trovato steso sul suo letto. Allibito, ha chiesto spiegazioni. “Scusami, sono rimbambito”, gli ha detto Allegri. Prima di andarsene via, ridendo.
Se potessimo mettere un sondaggio vi chiederemmo se siete giochisti o risultatisti, ma purtroppo per oggi lo spazio è finito. Vi invitiamo ad iscrivervi, alla prossima.