Gonzalo Higuaín, e ora la pace
Dopo una carriera di gioia e dolore personale, il Pipita lascia il calcio
Mentre il mondo del calcio si popola di 40enni incapaci di smettere, Higuaín dice basta a soli 34 anni e da queste parti siamo un po’ tristi. La consolazione è che forse, almeno ora, si possa guardare a quello di fenomenale che ha fatto in carriera, e non più alla sua fragilità emotiva.
In un passaggio della lettera con cui ha annunciato il suo addio al calcio, prima di scoppiare a piangere, Gonzalo Higuaín ha detto: «Smetto in uno dei momenti migliori della mia carriera, quest'anno mi sono divertito moltissimo». Non sono parole che di solito si sentono nei discorsi di commiato di un calciatore. Soprattuto, non è lo stato d'animo che generalmente convince un giocatore a prendere la decisione più difficile, quella di farla finita. Di questi tempi si lascia quando il corpo è davvero troppo logoro, quando le prestazioni non sono più all'altezza, quando ci scade nell'imbarazzo di essere diventati un peso. Spesso nemmeno l'accumulo di tutti questi indizi è sufficiente a dire basta, e giocatori di mezz'età si trascinano come relitti in un mondo che non trovano il coraggio di lasciare.
Gonzalo Higuaín ha “solo” 34 anni. Calvo, rotondo e con un barbone goffamente hipster sembra ne abbia qualcuno in più, ma in fondo è stato così per tutta la sua carriera, condotta con un corpo che pur non avendo rispettato i canoni atletici del calcio professionistico non è mai stato un ostacolo per la sua classe. A quest'età molti dei suoi colleghi sono ancora in giro per l'Europa a strappare ricchi contratti e concorrere per obiettivi importanti senza scorgere nemmeno in lontananza l'orizzonte del fine carriera. Se ne stanno comodi in un ambiente che riescono ancora a manipolare, che gli fornisce gli strumenti giusti per conservare il fisico e scacciare così il terrore dell'epilogo. Il progressivo scadimento delle loro performance è un'avvisaglia troppo debole per convincerli che il viaggio stia per finire. Fino a questo momento, Higuaín ha segnato 14 gol in 26 partite stagionali, molti dei quali ancora imbevuti nella sua arte di finalizzatore estroso e brutale. Come questo, una copia sbiadita ma non troppo di questo, segnato contro il Milan nella stagione 2017-2018: finta di andare incontro, il pallone che sfila, conclusione chirurgica. Un gol che ha avvicinato la sua Inter Miami ai playoff di MLS. Gonzalo Negli States Higuaín è ancora un giocatore decisivo, a suo agio sul campo, eppure, dal prossimo 22 dicembre, non sarà più un calciatore.
Gli altri smettono quando stanno male, quando non si riconoscono più: lui smette ora che finalmente ha trovato la giusta serenità. Un contrappasso che può sembrare illogico per un giocatore che ha sempre dovuto fare i conti con un conflitto emotivo, che ha passato 17 anni a combattere la pressione e le critiche senza mai riuscire a gestirle del tutto. Ma come, molla ora che si sente a posto? Forse però, questa pace è una conquista definitiva e autosufficiente, che non ha bisogno di essere sfruttata.
Quella di Higuaín è una storia luminosa e ammaccata, mutila. In ogni tappa della sua carriera è mancato qualcosa che lo facesse davvero sentire compiuto. Alcune volte l'ha rincorsa, altre l'ha schivata, altre ancora è stato travolto da questo vuoto. Al Real Madrid si afferma da giovanissimo con il suo talento accecante, segna tantissimo e in tutti i modi, ma poi finisce nel cono d'ombra di due fenomeni generazionali come Ronaldo e Benzema ed è costretto a scappare. A quanti giocatori capita di dover lasciare una squadra in cui hanno segnato 121 gol in 264 partite? A Napoli abbraccia l'onnipotenza calcistica e scrive la storia della serie A con una stagione che resterà per sempre negli occhi di chiunque ami davvero questo sport. Eppure non basta per riportare lo scudetto e allora lo rincorre firmando per gli storici nemici. Diventa un traditore, uno da raffigurare sui muri dei quartieri spagnoli mentre esulta infilato in un cesso. Alla Juventus si conferma un attaccante illuminato, vince e viene amato prima che il vecchio fantasma Ronaldo torni a fargli visita obbligandolo ad andarsene, un'altra volta. Con la nazionale argentina ha segnato 31 gol in 75 partite ma ha sbagliato il più importante, nella finale del Mondiale 2014 contro la Germania, quando a tu per tu con Neuer calcia maldestramente fuori un tiro che sembra uscito dal piede di un altro giocatore.
Tutto nella sua parabola di calciatore ha avuto un sapore agrodolce. Una condanna che involontariamente si infliggeva da solo: più faceva cose fenomenali, più queste cose non erano abbastanza. E il dolore dell'incompiutezza era alimentato dalla sua sensibilità, spesso presa da mira e individuata come limite che gli ha impedito di essere accostato ai più grandi. Higuaín non ha mai fatto nulla per nasconderla. È stato tra i primi a parlare pubblicamente di fragilità: «È vero, sono un giocatore emozionale, mi si vede in faccia se sto bene o male». Ha oscillato sempre tra il senso di fiducia e una tensione insidiosa, facendosi trascinare naturalmente da queste correnti opposte. Higuaín era sia il giocatore che segnava all'ultimo minuto il gol scudetto contro l'Inter, sia il giocatore che sbagliava il rigore che nel 2014 avrebbe permesso al Napoli di entrare in Champions League. Un giocatore che quando si sentiva leggero era capace di rompere un record che durava da 66 anni con una semi-rovesciata sublime, e quando si sentiva vulnerabile poteva soccombere agli spettri del passato e cedere a crisi isteriche, come quella inscenata dopo il rigore sbagliato con la maglia del Milan contro quella Juve che l'aveva scaricato.
Anche i più grandi giocatori della storia hanno commesso errori in occasioni importanti, sono passati dai fallimenti personali. Sono nei sulla pelle di tutti gli sportivi. Ma su di lui quegli inciampi avevano un effetto più lungo e corrosivo, arrivavano in profondità. Quando ha lasciato la Nazionale, nel 2019, ha detto che molti argentini sarebbero stati contenti della sua decisione. È come se fosse stato lui stesso a soffiare sul fuoco delle critiche che in quelle occasioni gli piovevano addosso, alimentandole con il pensiero e di conseguenza con le sue reazioni nervose. Si sentiva accerchiato, come se tutti faticassero a riconoscergli quel che era suo, come se le persone fossero comprensive con tutti tranne che con lui. «La gente ricorda più gli obiettivi che ho mancato che quelli che ho raggiunto». Cercava calore umano. L'ha trovato in Sarri, padre putativo che più di tutti ha capito quanto Higuaín avesse bisogno di sentirsi amato. Lo cercava nei compagni, dopo ogni gol: prima esultava in solitaria con la passione dei sudamericani, e subito dopo allargava le braccia per invitarli ad abbracciarlo.
Segnava in tutti i modi possibili. È stato un professore dell'attacco alla porta ma anche un finalizzatore creativo, guidato dall'istinto e da una tecnica sopraffina. Fondeva la praticità degli attaccanti puri alla fantasia dei giocatori offensivi ibridi. E sapeva essere spietato. Il gol che segna al Napoli con la maglia della Juve, è un manifesto di questa commistione. Higuaín che sterza in un fazzoletto e calcia con qualità e ferocia. Ma non solo: Higuaín che si abbassa e cuce, travestendosi da enganche. Egoista quando doveva esserlo ma anche teso a giocare per i compagni. Non ci sono stati molti attaccanti abili come lui a legare il gioco e al contempo porsi come minaccia costante per la difesa avversaria. Faceva tutto questo muovendosi con un corpo inusuale, con una forma fisica spesso discutibile, almeno all'apparenza. Ha portato addosso un'immagine che rifletteva un senso di sofferenza ma anche lo strapotere di chi non ha bisogno di essere tirato a lucido per dimostrare quanto è forte. Che può dominare anche con i fianchi pieni e l'addome molle. Correva con le punte dei piedi rivolte all'interno: un tratto morfologico fedele alla sua personalità introversa.
Lungo una carriera in cui ha segnato 333 gol e ha vinto 14 trofei, Higuaín ha dovuto fare i conti con un tratto umano non accettato dal calcio d'élite, la fragilità emotiva: “Ho vissuto per 15 anni in modo innaturale, non avendo gli stessi diritti di altri, ad esempio, davanti agli insulti”. Per dissimularla agli occhi di un mondo in cui non è concessa, ha portato avanti un duro esercizio di repressione intima. Qualche volta non ce l'ha fatta, e quel mondo gliel'ha fatta pagare. Ha cominciato a farfugliare che se non fosse stato così vulnerabile avrebbe potuto dare molto di più. Come se la sensibilità fosse una colpa. Come se fosse impossibile concentrarsi solo sui momenti di pura bellezza che Higuaín ci ha regalato. Grande giocatore, ottimo giocatore, campione, fuoriclasse: è davvero così importante rincorrere una definizione?
La vita di calciatore di Gonzalo Higuaín è stata sofferta ma intensa. La speranza, ora che davvero dovrà guardarsi indietro, è che riesca a essere più indulgente con se stesso, per cogliere solo la grandezza di quello che ha fatto.
Ora, asciugati quelle lacrime e iscriviti. Non provocarti altro dolore
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