“Faceva tantissimo caldo” in queste nostre ferie italiane non annunciate, ma finalmente siamo tornati a Milano, dove fa ancora più caldo ma almeno possiamo tornare a scrivere delle nostre fisse. È tornato il campionato, potremmo sparare le nostre prime sentenze, eppure decidiamo di prendere un volo che sorvoli tutto l’Atlantico e ci conduca a Toronto. Con Drake nelle cuffie pensando solo “C’mon TFC”. Buona lettura.
Non ho mai fatto l’Erasmus o un qualsiasi tipo di scambio interculturale, se escludiamo quelle prese in giro che chiamavamo vacanze studio fatte con EF e affini utili solo a imparare un dialetto italiano diverso dal tuo. Non sono quindi mai tornato in città o nel quartiere atteggiandomi come una persona totalmente nuova, provando a convincere i miei amici a cenare alle 22 perché a Malaga fanno così, a tessere le lodi del vino tinto, o millantare una incredibile capacità di reggere la birra perché, sai, a Praga costa pochi euro. È un qualcosa che mi manca, a essere sincero, di cui parlo con un cinismo macchiato d’invidia, perché al di là dell’effettiva ridicolaggine di chi ti guarda da fuori, il racconto di quei periodi è davvero un qualcosa che scaturisce nel narratore una gioia non assimilabile da chi non ha condiviso la stessa esperienza. Proprio nel termine esperienza, che ha nell’etimologia la parola esperimento - un qualcosa di vicino al tentativo - si racchiudono queste parentesi di vita: se fossi Marco Montemagno parlerei di uscire dalla zona di comfort, fortunatamente ero ancora alle elementari nel periodo della Blogosfera.
Federico Bernardeschi sta vivendo il suo Erasmus. Fortunatamente per lui non è finito in qualche freddo paese dell’Est sperando di conoscere ragazze che solo al sentir quel marcato accento italiano si sarebbero sciolte ai suoi piedi, o appunto a mischiare vino del discount con una sottomarca della Fanta dentro bottiglie di plastica, ma si è ritrovato in Canada, a Toronto, una città che per intenderci ha una comunità di italiani che ha lo stesso numero degli abitanti di Genova. Come nelle migliori di queste esperienze, si è portato dietro due amici, che in qualche modo lo completano: il silenzioso Domenico Criscito e il simpatico guascone Lorenzo Insigne.
Uno degli aspetti più interessanti della personalità di Federico Bernardeschi finora era quella di averci da sempre dato l’idea di essere un ragazzo e poi un uomo che in qualche modo rifuggiva i riflettori - basti pensare a quanto si è parlato della sua scelta di non permettere a MTV di seguirlo fuori dal campo durante Calciatori-Giovani Speranze - ma che aveva dalla sua una grande personalità - qui si potrebbero inserire diversi meme legati alla sua volontà di rischiare la giocata.
Eppure già da dopo la vittoria dell’Europeo qualcosa in Federico Bernardeschi si era rotto.
A pochi minuti dalla vittoria dell’Europeo l’ormai ex Juventus è in lacrime davanti alle telecamere della RAI. Non sono lacrime di gioia, o meglio non solo, dentro c’è sofferenza (userà il termine soffrire diverse volte in questi due minuti) e di frustrazione. Ma la cosa che colpisce più di tutte è quanto, vero un po’ in pieno stile retorico del calciatore post-partita, Federico Bernardeschi parli degli altri, ringrazi gli altri, cerchi in qualche modo un abbraccio collettivo, nel quale abbandonarsi.
”Volevo solo scomparire in un abbraccio” è probabilmente il verso che ha cambiato la vita di Calcutta, rendendolo fenomeno collettivo. “Volevo solo scomparire in un abbraccio” è probabilmente quello che ha pensato Federico Bernardeschi, mentre per la prima volta si sentiva cinto dall’affetto dei tifosi del Toronto. Parla di “fare la storia” nel primo post con la sua maglia rossa e il numero 10 che campeggia sulle spalle, si vede precisamente l’escalation del momento in cui capisce che sta diventando protagonista nel video di presentazione, quando dai sorrisi passa ai saltelli e dai saltelli si sente così sicuro di sé da improvvisare un coro in inglese, un po’ ciancicato.
Non siamo abituati a vedere un uomo prendere consapevolezza di sé, da fuori ci sembra quasi che in quel momento si rompa qualcosa. I saltelli di Bernardeschi, personalmente, mi sembrano quasi la risata del Joker, il momento in cui l’uomo smette di essere tale e diventa creatura demoniaca. La realtà è solo che Bernardeschi ha ricevuto le attenzioni che pensava di meritare e ora se le gode tutte.
Non ho avuto una gran carriera pallanuotistica, mio padre sostiene che sia perché non ho spirito competitivo ma che avrei potuto averla, io sostengo che semplicemente lo sport per me fosse un’alternativa migliore al doposcuola, un doposcuola lungo 12 anni. I momenti che mi davano più soddisfazione della mia carriera in piscina erano fuori da quello stagno artificiale intriso di cloro, ma al mare, circondato da persone che non sapevano davvero cosa fosse lo sport che facevo, che si stupivano del fatto che riuscissi a stare con l’acqua fin sotto al bacino per più di qualche decina di secondi. “Cammini sull’acqua”, facendoti sentire un profeta in mezzo agli analfabeti.
Credo che la sensazione di Federico Bernardeschi sia molto simile, il tutto racchiuso in gesti come questi.
La rivincita di Bernardeschi arriva anche dal fatto che, in qualche modo, complice il fatto che praticamente nessuno in Italia segua davvero la MLS, ha potere decisionale sulla narrativa che arriva nel suo paese. Ci sembra che l’ex Fiorentina stia vivendo il sogno, giocando da 10 in pagella ogni domenica: ci arrivano i video dei suoi gol, delle sue giocate, soprattutto dei suoi commenti post-partita. Nella realtà dei fatti, la stagione del Toronto al momento è poco più che fallimentare, con 5 punti che li separano dalla zona playoff, ovvero da quello che ossessivamente viene definito “goal” nei post su Instagram di Bernardeschi.
Eppure nulla faceva pensare che il nostro avrebbe intrapreso questa strada. L’unica altra scelta “definitiva” che conosciamo della vita di Bernardeschi è il suo passaggio dalla Fiorentina alla Juventus, una decisione in totale contro-tendenza con quella attuale. Lasciare la squadra in cui era cresciuto - esclusa una piccola parentesi a Crotone, la prima “tra i grandi” - e in cui era e sarebbe stato con ogni probabilità il protagonista, nonché capitano e bandiera, amato e osannato, per trasferirsi nella squadra più forte d’Italia con grande competizione al suo interno, nonché la squadra più odiata dai suoi vecchi tifosi: la Juventus.
Negli anni questa scelta gli si è in qualche modo ritorta contro, portando Federico Bernardeschi a seguire il metodo Hoffman per trovare la miglior versione di sé. Ma anche nel “ritrovare sé stesso”, Bernardeschi è molto lontano dallo stereotipo del calciatore. Se pensiamo al Mental coach di Leonardo Bonucci, per esempio, abbiamo in testa un uomo che punta a tirar fuori un “leone” dal suo “paziente”, che lo porta a masticare spicchi d’aglio per essere più competitivo, a tirare fuori la bestia che è in lui. Il metodo Hoffman è qualcosa che parla di empatia, di gioia di vivere, è un percorso che - al di là del valore che ognuno può dargli - sin dalle introduzioni non parla di forza, ma di armonia.
La scelta di andare a Toronto è una scelta contro-intuitiva, ma che racchiude in sé un gesto quasi politico - senza ovviamente perdere di vista l’idea che il lauto compenso unito allo stato in cui si approda e le opportunità per la propria famiglia nel futuro siano un qualcosa di non poco conto. All’apice dell’età competitiva per un calciatore, Federico Bernardeschi decide di togliersi questo giogo della performatività, per approdare in un posto che in qualche modo gli può ricordare che anche lui è speciale, il più speciale. Con il sorriso sulla bocca.
C’è ovviamente una forte componente egotica, basti pensare al fatto che, con la numero 10 sulle spalle, Bernardeschi si è arrogato il diritto di battere i calci di rigore, strappando (non solo metaforicamente) il pallone dalle mani di Lorenzo Insigne, superandolo in gerarchia.
Ultimo, ma non ultimo, la saga che lo ha reso protagonista dei nostri social, l’unico vero - oltre i goal - contatto che abbiamo con Berna a Toronto: i video post partita in cui esalta e si esalta con il pubblico.
Il primo a venire pubblicato è stato questo. Dopo il tentativo di parlare in inglese nella sua prima conferenza stampa, Federico Bernardeschi passa all’italiano. Come ogni italiano all’estero si acuiscono quelle particolarità che poi nella volgata diventano stereotipi: il primo pensiero del calciatore è al clima. “Faceva tantissimo caldo”, ci dice.
Si guarda intorno, non vuole perdersi un secondo di quella incredibile festa che lo circonda, si sente come se fossero lì tutti per lui. Gli occhi sono impazziti, come quando si guarda fuori dal finestrino di un treno in corsa. L’unico piccolo momento d’inglese è la parte finale, quella dello “slogan”.
Questo è l’ultimo, il più recente. Si sente anche la voce di quello che possiamo immaginare sia il social media manager del Toronto, che parla a Bernardeschi in italiano. Qui è passato un mese dalla prima partita, dal suo arrivo, ormai Berna è di casa, il padrone di casa. Così, come quelle nonne che si sforzano di parlare in italiano anziché in dialetto con i propri nipoti, così l’ex Juventus parla in inglese a un uomo che gli sta parlando italiano, in un viaggio controintuitivo. A differenza del primo video, non parla neanche più alla telecamera, è una rockstar che deve imbonirsi il pubblico, non parla neanche più di sé o della squadra, parla di quanto sia “amazing” il tifo, in quella formula da “siete il miglior pubblico che io abbia mai avuto”. Federico Bernardeschi sembra finalmente felice. Chi siamo noi per dirgli qualcosa?
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