Ho gli occhi annebbiati da lacrime calde, perché in questo esatto momento ho finito di vedere “Il Fenomeno”. Pertanto non mi perderei troppo in chiacchiere e vi lascerei alla lettura.
La prima frase che ho scritto in chat a un amico appena finito di vedere “Il Fenomeno”, il nuovo docufilm di DAZN sul calvario di Ronaldo tra la Coppa del Mondo del 1998 e la finale vinta nel 2002, è quella in cui l’ex attaccante dell’Inter dice che essere sempre felice è facile, quando hai i denti così in fuori.
Per me, nato nel 1994, Ronaldo non è mai stato una questione di campo. È il mio giocatore preferito di tutti i tempi, il motivo per cui sono interista, da qualche anno porto il suo volto, sorridente e con il diastema bene in vista, tatuato all’interno dell’avambraccio. È stato il mio primo tatuaggio, è tutt’ora il più visibile. Mentre ero sotto l’ago, dopo tre ore di seduta, ho chiesto alla persona che mi stava tatuando se in molti si fossero tatuati qualcuno che li aveva traditi con così tanta nonchalance.
Ronaldo è stato soprattutto una questione di emozioni.
Anche per chi ha scritto il film, Ronaldo, è una questione di emozioni. Nonostante si stia parlando di uno dei giocatori più straordinari che abbiano calcato il campo, non si parla praticamente mai della straordinarietà del brasiliano sul rettangolo verde. C’è un passaggio in cui, dopo il racconto della sconfitta dell’Inter con la Lazio che le costa lo scudetto del 2002, Ronaldo dice “solitamente sono in grado di gestire le mie emozioni”. Un passaggio fondamentale, che ci spiega che spesso, un occhio esterno, ci conosce molto meglio di quanto non sappiamo fare noi stessi.
Che Ronaldo sapesse gestire le sue emozioni è una cazzata. Grazie all’ampia disponibilità del materiale d’archivio, vediamo tantissime immagini di campo, ma non di giocate, alle quali viene dato un respiro non consueto. Seguiamo Ronaldo, prima, dopo e durante le partite, ogni piccolo respiro, ogni goccia di sudore che gli riga la fronte. Siamo in grado, dietro a quel sorriso praticamente perenne, anche per una questione di conformazione del volto, come dice lui, di percepire la paura, che a volte diventa vero e proprio terrore.
”Il Fenomeno” è un film sulla paura, che chiude con un’illusoria sensazione di rinascita e speranza che, per noi che abbiamo visto nella vita vera come in realtà va a finire, sembra consolatoria e illusoria.
Appena vince la Coppa del Mondo del 2002, Ronaldo sussurra all’orecchio di chi gli è stato accanto durante il calvario del ginocchio: “Dio è stato buono con me, vero?”, un’illusione che come il finale sembra essere consolatoria.
Come dicevo prima, probabilmente il vivere le cose dall’interno ci porta a non essere pienamente consapevoli, ma se dovessi pensare a un aggettivo da associare a Dio in merito alla gestione del fascicolo Ronaldo, sicuramente il primo che penserei non è “buono”. Questo contrasto tra il premio e la gratificazione che Ronaldo ritiene di aver ricevuto da chi lo ha messo al mondo e gli ha regalato forse il talento più cristallino che si sia mai visto su un campo da gioco, rimane amaro in bocca per la continua impossibilità di goderselo appieno. Vero, l’abbiamo visto, ne abbiamo gioito, ma sarebbe come mettere un daltonico davanti al panorama coi colori più mozzafiato del mondo e chiedergli di descriverlo e diffondere il verbo al resto dell’umanità. Una goduria quantomeno sadica.
”Volevo solo vedere Ronaldo tornare a giocare”, confessa la madre mentre rivive le emozioni del trionfo del 2002. Un sentimento condiviso, perché tutti in quella fragilità abbiamo sviluppato in noi un istinto materno, di protezione, tutti avremmo voluto preservare quel corpo, come fosse nostro, forse ancor di più.
La forza speciale e attrattiva del Fenomeno è ben resa all’interno del film dal fatto che possa vantare la partecipazione di Zidane, Roberto Carlos, Bobo Vieri, Paolo Maldini, Diego Simeone, Romario, una presenza che si rende totalmente superflua. Le voci esterne, di vecchi campioni e di giornalisti che non si vedono mai in faccia, diventano un corredo - anziché la forza del racconto come spesso accade in questi prodotti. La figura di Ronaldo è così forte, che un’immagine silenziosa e prolungata di lui al centro del campo con le mani ai fianchi racconta la storia meglio di quanto potrebbe fare una voce autorevole come Zinedine Zidane. Una gestione saggia, non ingorda, di questi interventi, che rendono i racconti esterni una guarnizione mai stucchevole in un progetto che ha pochi difetti, come l’uomo di cui racconta.
”Il Fenomeno” è un film sui contrasti. Mentre parla dell’incomunicabilità con Cuper o delle liti con Scolari in seguito al taglio a mezzaluna ai Mondiali del 2002, non vediamo mai immagini di un Ronaldo sconfortato o amareggiato. È sempre sorridente, gioca con il pallone come farebbe quel ragazzino che viene riproposto sul finale che come unico sogno aveva quello di portare il Brasile sul tetto del mondo.
Persino l’immagine del suo infortunio accanto al chirurgo francese Gerard Saillant, a seguito della prima operazione al ginocchio che viene definita “sbagliata”, è un di Ronaldo sorridente con una maglia del suo sponsor Nike che recita “alegria”.
C’è dolore nel vedere Ronaldo. Ma del resto, non è forse l’amore l’emozione più dannosa che proviamo?
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