Gioia e rischi di tornare a casa
Lukaku e Pogba ritrovano Inter e Juve, ma riabbracciare i vecchi amori nasconde sempre delle insidie, come loro sanno bene
Quindi funziona così: prima trattano la Serie A come un campionato di passaggio, poi quando si scontrano con il livello della Premier tornano indietro dichiarando amore alle squadre abbandonate. Ma qui non siamo permalosi, e siamo pronti a goderci di nuovo, ogni domenica, Lukaku e Pogba. Chi l’avrebbe detto.
Nel luglio del 2016, Romelu Lukaku posta un video su Twitter in cui si vedono lui e Paul Pogba sfidarsi a basket in un playground di Miami. File di palme fanno da cornice al campetto curato, con il tartan blu, i tabelloni di vetro e i canestri con le retine di un nylon lucente. Giocano uno contro uno. I corpi possenti e slanciati li fanno sembrare campettari navigati, che passano lì molte ore al giorno ad allenare ball handling e tentare schiacciate spettacolari. Per essere calciatori non se la cavano nemmeno male, ma nei grezzi movimenti con cui tentano reciprocamente di segnare si vede chiaramente che arrivano da un altro sport. Uno sport che in quel momento storico li riconosce a livello globale come 23enni in rampa di lancio.
Oggi, sei anni dopo, Lukaku e Pogba stanno per sbarcare in Italia, il primo all'Inter e il secondo alla Juve. Per entrambi è un ritorno a casa, il secondo. Il primo, in quella che consideravano casa e che invece si è rivelata il posto più ostile al mondo, è stato un fallimento. Volevano ricucire ferite del passato, riprendere il filo di storie interrotte e mai dimenticate. Hanno finito per intristirsi precocemente, perdere fiducia, appassire. Pogba aveva lasciato la Juve per riabbracciare il Manchester, il club dell'infanzia sedotto dall'idea romantica di ricostruire tutto attorno alla stellina diventata grande lontano da Old Trafford. “Pogback” era lo slogan con cui si esaltava il grande ritorno costato 89 milioni sterline, scandito dal suono grime del pezzo con cui Stormzy, insieme allo stesso Pogba, gli dava il bentornato.
La riconciliazione è stata un disastro. Nel contesto dissestato di una gestione del club confusa e schizofrenica, Pogba è stato solo un altro tassello sbagliato di un mosaico irrazionale. Il talento luminosissimo mostrato negli anni alla Juve si è acceso solo a intermittenza, e quasi mai nei momenti decisivi. Nei rari periodi in cui le cose iniziavano a girare con continuità, sono arrivati puntuali gli infortuni. La sua collocazione in campo è stato un rebus per tutti gli allenatori passati da Manchester in questi anni, Mourinho, Solskjaer, Rangnick. Ha giocato esterno, mezzala, mediano, trequartista, addirittura falso nove, e in ogni posizione in cui agiva il dibattito ruotava più su quello che non andava che su quello che poteva offrire.
Le sue qualità sbiadivano e le presunte fragilità venivano messe in luce. Su tutte quella di essere un talento vezzoso, frivolo e senza leadership. Critiche alimentate dal rendimento divergente tra club e nazionale francese, dove invece Pogba, in mezzo a giocatori di grande spessore, ritrovava puntualmente la sua verve creativa, l'efficacia nella grazia, la sua enorme influenza sul contesto di gioco e delle partite. L'ha dimostrato anche nell'ultimo Europeo, in cui ha regalato ampi sprazzi della sua classe mostrando una gamma di passaggi, gol e rifiniture d'élite assoluta. Secondo Mourinho, che dopo avergli fatto indossare la fascia di capitano in un paio di occasioni non si è fatto problemi a sfilargliela dal braccio, una competizione come il Mondiale era «l'habitat perfetto per un giocatore come lui, perché per un mese intero è con la sua squadra in ritiro, completamente isolato dal mondo esterno, dove si concentra solo sul calcio». Tesi simile a quella con cui Roy Keane, dagli studi dei salotti tv, lo accusava di cedere troppo facilmente alle distrazioni. Fragile, superficiale, interessato soprattutto all'estetica e all'immagine: questo il tono dei discorsi su di lui. E intanto i tifosi non risparmiavano fischi. Gli ultimi, assordanti, nella partita col Norwich giocata a marzo, una delle molte gare deludenti di cuna stagione conclusa uscendo dal campo con il Liverpool dopo appena dieci minuti di gioco: un’istantanea perfetta dell’esperienza di Pogba allo United.
La prima volta che ha pensato di lasciare Manchester è stato tre anni fa, quando sia Guardiola che il Real Madrid sembravano intenzionati a riabilitare il suo talento. Nel 2021, un'offerta per il rinnovo a suo dire inadeguata, è stata il pretesto per andare a scadenza. Il piano di fuga ha previsto anche una parte creativa con la realizzazione di Pogmentary, documentario a metà tra uno spot e un lunghissimo reel di Instagram, in cui Pogba, tra le altre cose, racconta in prima persona il desiderio di trasferirsi in un altro club. A un certo punto, durante una videochiamata, Mino Raiola gli comunica lo stato del suo mercato: «Sto parlando con il Paris e ho già avuto due incontri con il Barca. La Juventus non può più permetterti».
Se per Pogba l'amarezza di un rovinoso ritorno a casa è rimasta in bocca per sei lunghi anni, Lukaku ha bruciato il suo desiderio di rattoppare il passato in una sola stagione. Anzi meno. Il conto della scelta di tornare al Chelsea è stato salatissimo. All'Inter Lukaku aveva raggiunto il suo prime, aveva vinto da protagonista, si era ritagliato nel cuore dei tifosi uno spazio concesso a pochissimi prima di lui. Con la sicurezza in se stesso maturata in due anni eccezionali, pensava di tornare al Chelsea e dimostrare che avevano sbagliato a non credere in lui quando era più giovane. E invece sono bastate poche settimane per incagliarsi in un sistema di gioco che adombrava le sue qualità. Pochi mesi per cedere al pentimento di una decisione autolesionista. La forza esplosiva del suo corpo, con cui faceva sembrare gli avversari insetti piccoli e innocui, è sfumata nella tenera massa di un goffo micione. Da attaccante tra i migliori al mondo a giocatore ingombrante. Da leader a zavorra. Dopo aver cercato di andare incontro alle sue esigenze, Tuchel si è rassegnato all'idea di aver investito 120 milioni per un giocatore inadatto al suo calcio, confessandolo pubblicamente e senza troppi giri di parole. A meno di sei mesi dal suo addio all'Inter, Lukaku ha reso pubblico il suo pentimento con un'intervista surreale. Ha spiegato le ragioni della sua partenza, ha chiesto scusa ai tifosi per non averli salutati, e di fatto ha gettato le basi per un ritorno istantaneo.
Dopo 2750 minuti di impaccio giocati con la maglia dei blues, eccolo di nuovo qui. È sbarcato a Milano stamattina, umile e sorridente. Per ritrovare l'aria felice dell'Inter ha trattato in prima persona col Chelsea e ha rinunciato al 35% del suo stipendio. Non di certo un'operazione facile, ma il difficile verrà tra un po'. Ora Lukaku riabbraccerà i compagni, stipulerà un patto d'acciaio con Simone Inzaghi, si godrà il calore delle persone che lavorano ad Appiano Gentile e di una fetta di tifosi che non porta rancore. Poi però ci sarà il campo, che non potrà essere uno spazio angusto come lo è stato nell'ultimo anno. Lì, con i gol e le prestazioni, dovrà cercare il perdono e non macchiare i ricordi dolci degli anni passati all'Inter, quelli di cui si è nutrito per non soccombere nella tristezza di Londra.
Lukaku ha molto da perdere, Pogba meno. La separazione con la Juve non era stata traumatica e da allora è passato molto tempo. Ritrova una Juve diversa da quella che aveva lasciato, non più dominante. Inter e Milan hanno interrotto il lungo regno bianconero, sfaldato da scelte sbagliate e da una programmazione a singhiozzo. A centrocampo non troverà più gli sguardi sicuri di Vidal e la saggezza tecnica di Pirlo, ma Locatelli e Zakaria, Arthur e Rabiot. La Juve lo riporta a casa per chiedergli quello che in più occasioni gli è stato imputato di non saper fare: prendere in mano il reparto, essere il faro di una squadra in fase di rinascita. Una sfida che, a differenza di Manchester, Pogba potrà affrontare con il sostegno di un allenatore che lo conosce bene e sa come tirare fuori il meglio da lui. Anche con i modi meno convenzionali.
La serie A ritrova due grandi giocatori che aveva visto partite nel loro momento migliore, come un semplice campionato di passaggio. Lukaku e Pogba ritrovano la serie A, forse il posto migliore per riabilitarsi. Riprendere una storia vecchia, però, nasconde sempre molte insidie. Lo sanno bene entrambi.